I DOCS nella storia del fashion

Della serie “le mode ritornano”  oggi parlerò di un cult del fashion che ormai da oltre cinquant’anni  pervade il mondo della moda di tutto il mondo: i Dr Martens.

Io per prima li ho amati, li ho avuti per anni poi mi sono stufata e ora di nuovo, ritornano, spero presto anche per me.

Non importante quale sia l’abbigliamento del giorno, se i jeans, una gonna o leggins, so già quale scarpa indosserò , sono un jolly per il mio armadio. Color ciliegia, prugna, vinaccia e neri, non importa, sono sempre belli.

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Conosciute anche con il nome di Docs e DMs, sono le scarpe di culto dei gruppi punk, poi adottate indistintamente negli anni Settanta.

Ma i Docs nascono  nel 1943,quando a seguito di un incidente, Klaus Martens ipotizza per sé un innovativo tipo di suola ammortizzata da un cuscinetto d’aria, e un tipo di scarpone costruito con una pelle più morbida. Realizza il primo prototipo di Dr. Martens, un paio di scarponi marroni a 8 buchi, che vende insieme al socio Funck. Nel 1952 le vendite aumentano a tal punto che i due decidono di aprire una nuova fabbrica a Monaco. Alla fine degli anni cinquanta, con una produzione di oltre 200 diversi modelli, i soci si rivolgono al mercato internazionale per vendere la licenza. Immediatamente il marchio inglese Griggs ne acquista il brevetto – segni particolari doppia suola e cuciture gialle a contrasto – mantenendo il nome Dr. Martens.

Il 1 aprile 1960 entra nel mercato il primo paio di Dr. Martens all’inglese: anfibio a 8 buchi, di colore rosso ciliegia.

Comode e resistenti, in qualsiasi condizione, gli anfibi dal filo giallo vengono presto adottati da postini e operai, e poi addirittura da poliziotti, che sono soliti annerire il filo giallo perchè non stoni con la loro divisa scura. Insomma, le Dr Martens nascono come scarpe proletarie, simbolo del sindacato e della sinistra inglese. Ma il passaggio successivo, più potente, le vede diventare, a turno, scarpe simbolo di diverse sottoculture urbane. Prima arrivano i mod, poi gli skinhead, poi ancora i punk e infine i cosidetti “boot boys”, gli assidui e violenti frequentatori degli stadi.

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I primi in assoluto ad adottare le Dr Martens come calzatura “di riconoscimento” sono i mods londinesi, dopo che Pete Townshend degli Who li elegge a sua calzatura favorita e dopo il 1964, quando i mod cominciano a suddividersi in varie correnti, tra cui gli hard mod, che appunto utilizzano jeans e anfibi.

Nei tardi anni Sessanta tocca agli skinhead. I Dr. Martens sono la componente più importante del loro abbigliamento, a cui prestano un’ attenzione quasi ossessiva: sempre lucidati e ben curati, scegliendoli più alti, da 10 buchi in su, spesso con punta d’acciaio, enfatizzandone talvolta l’aspetto imponente indossando taglie più grandi. Anni Settanta, il punk. Nonostante inizialmente utilizzino soprattutto sneaker, in particolare Converse All Star, notoriamente indossate dai componenti dei Ramones, ben presto il binomio punk/Dr. Martens diventa inscindibile.

D’ora in poi ,oltre gli Who,  fra i volti più celebri del tempo che indossavan i Docs troviamo  i Rolling Stones, i Sex Pistols, i  The Cure,  i Nirvana e i The Clash.

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Parallelamente cominciamo a vederli anche nelle culture giovanili ska, new wave, goth, e  grunge, per arrivare a invadere gli stadi, e posizionarsi negli Ottanta come scarpe simbolo del tifoso inglese. Protagoniste delle risse da stadio, tanto da costringere le autorità a imporre una curiosa regola: costringere i tifosi ad entrare nello stadio senza i lacci delle scarpe, in moda da rendere inoffensivi i tanto temuti anfibi.

Il generale declino dello stile e del pensiero underground, a partire da fine anni Novanta, porta anche ad un calo delle vendite dei Dr. Martens in questo periodo. Il 1 aprile 2003, a causa del declino delle vendite, la Dr. Martens decide di cessare la produzione.

Ma negli ultimi anni, un improvviso “Dr. Martens Revival”, simile a quello europeo degli ottanta, o alla diffusione americana in epoca grunge, dai Nirvana in poi, il marchio Dr. Martens ri-apre, anche e molto in Oriente.

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La supermodella  Agyness Deyn spesso esibisce anfibi nelle immagini che la ritraggono, prima di lei la cantante  Sinéad O’Connor, poi  la statunitense Gwen Stefani, e Avril Lavigne, cantautrice, stilista e attrice,  le sfoggiano per dare un tocco vagamente punk al loro stile.

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A partire dal 2008 nascono  nuove varianti dei classici e nuove linee dei Dr Martens, fatte da stilisti come  Raf Simons, Jean Paul Gaultier, e Louise Body. Ri-diventate ormai una calzatura glamour, persino Jimmy Choo ne ha firmato un modello nel 2003, un’ edizione speciale e limitatissima.

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I Dr Martens sono uno dei must della moda di sempre, ed è un tipo di cult fashion che io personalmente adoro da quando era bambina.

B2B

Chiara

Bellezze di ieri e di oggi

Sembra che le persone oggi abbiano un solo ed unico obbiettivo: essere belle.

Ma cos’è davvero la bellezza?!

Il filosofo francese Paul Valèry affermava: “definire il bello è facile: è ciò che fa disperare!”. Questa è  sicuramente la definizione che preferisco. Si può interpretare in diversi modi, ma rimane sempre e comunque veritiera. La bellezza fa disperare gli uomini che vengono ammaliati dalle sinuose curve e occhi da cerbiatto di noi donne. La vera disperazione però è quella delle donne che tentano in qualsiasi modo di dimagrire con diete massacranti, ricoprire di fondotinta il loro viso per nasconde l’acne o addirittura sottoporsi ad interventi chirurgici per rifarsi un seno che va già perfettamente bene così com’è.

Ogni cultura, nel tempo, ha cercato di creare dei propri canoni di bellezza rovinando però di fatto la vita di molte donne che spesso sono state costrette ad intervenire anche in modo irreparabile sul loro corpo. Nel Settecento e Ottocento per avere una vita sottile, le donne si strizzavano in busti di stecche di balena fino a rompersi le costole, le donne cinesi si bendavano i piedi fin da piccole per avere un piedino piccolo che veniva considerato un vero e proprio segno distintivo di bellezza. Per fortuna con il tempo le cose sono cambiate, ma forse non così tanto come speriamo visto che molte donne abusano della chirurgia estetica per diventare Barbie viventi.

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Nel corso della storia i cambiamenti culturali e sociali hanno portato a un’evoluzione dei canoni di bellezza del corpo femminile. Nel Settecento le nobil donne dovevano essere panciute e paffute, come quelle immortalate nei quadri dell’epoca, simbolo del benessere economico delle classi agiate. Guai a mostrare muscoli o visi arrossati, quelle erano le caratteristiche di chi lavorava nei campi e non poteva permettersi da mangiare.

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Dai primi anni del Novecento qualcosa è cambiato, anzi moltissimo, soprattutto dopo il periodo di privazione degli anni ’20 con l’effettiva entrata della donna nella società in cui inizia a lavorare e reclamare gli stessi diritti e doveri dell’uomo. I modelli da seguire non sono più le donne immaginarie dei ritratti, ma attrici che diventano vere e proprie DIVE.

I due esempi più significativi sono sicuramente Marilyn Monroe (anni ’50) e Audrey Hepburn (anni ’60), una l’opposto dell’altra. La  prima è icona di femminilità e sensualità grazie anche alle sue forme morbide mentre la seconda è simbolo di eleganza e raffinatezza con un fisico filiforme.

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E oggi?! Nella società industriale contemporanea, dove l’eccesso di peso provoca molti problemi alla salute, il grasso e la rotondità non sono più di moda, anzi è sinonimo di un corpo non curato e di assenza di attività fisica. Il fisico minuto, asciutto con curve non esagerate sta prendendo il sopravvento tra i gusti sia femminili che maschili. Da pochi anni però si è diffusa un’altra scuola di pensiero: non esiste un vero e proprio modello, certo il bombardamento mediatico di modelle mini size continua imperterrito, ma per fortuna grazie ai nuovi metodi di comunicazione hanno preso piede anche le mode per le donne curvy ,e se persino Vogue mette in copertina donne plus size in lingerie intitolando “BELLE VERE” forse qualcosa sta cambiando davvero!!!

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Voglio essere positiva per una volta, non dobbiamo più essere tutti uguali e imitare le celebrità, non ci vestiamo più tutti nello stesso modo e non dobbiamo più essere superformose o magrissime, possiamo scegliere.

Finalmente possiamo scegliere di essere come siamo, come vogliamo. Anche la moda ce lo consente, stiliste come Elena Mirò hanno dato la possibilità alle donne con qualche taglia in più di sentirsi belle e glamour. Il mercato non propone più un’immagine standard, ma anche donne reali come quelle delle campagne pubblicitarie della Dove con rughe e “ciccette sballonzolanti” per dirlo alla Bridget Jones. Grazie a loro possiamo ben notare che la magrezza non è sicuramente sinonimo di bellezza, altrimenti perché donne formose come Monica Bellucci, la cantante Adele o Sara Ramirez (la dottoressa Torres di Grey’s Anatomy) fanno sognare gli uomini anche più di Kate Moss?!

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Come dice Mahatma Gandhi:La vera bellezza, dopo tutto, consiste nella purezza del cuore” 

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Elisabetta

B2B

E ora cosa mi metto?

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E ora cosa mi metto?  Ecco la fatidica domanda che ogni donna almeno una volta al giorno si pone. E la risposta che ci diamo troppo spesso è: non ho niente da mettere.

Solo se si è donne si può capire lo sconforto che si prova quando non si trova nulla di giusto da indossare. Non è la quantità di vestiti che si ha nell’armadio  che può risolvere questo problema. Perché sì, è un problema. E’ l’umore che si ha in quel preciso istante a determinare una scelta piuttosto che un’altra.

Il dilemma del “cosa mi metto” non dipende dall’età. E’ un problema comune a tutte le donne, indipendentemente da condizione sociale economica e di bellezza.

E’ normale per una donna chiedere al proprio compagno, fidanzato, marito come le sta un abito piuttosto che un altro e cosa deve scegliere. La donna è per definizione lunatica, umorale. Abbiamo bisogno di essere rassicurate.

La donna quando si veste vuole piacere, prima a se stessa, poi  agli altri. Ed ecco il vero problema: gli altri. Anche quelle che dicono che lo fanno solo per una soddisfazione personale, in fondo in fondo, lo fanno per avere l’approvazione dagli altri.

Essere vestite male può rovinarci la giornata o una serata o comunque provocarci un cattivo umore. E quindi che fare?

Un mondo esiste. Dobbiamo scegliere solo quello che ci piace e che ci sta bene a prescindere dalla moda o da cosa si mettono gli altri. Essere personali ci rende diverse e quindi interessanti, il che in un mondo come questo non è male e nessuno può fare paragoni. Sei unica. E quando  hai conquistato questa indipendenza va bene tutto , perché questo  è uno stile solo tuo. Poco importa cosa, dove e quando.  L’importante è il “come”.  Non c’è mai stata tanta libertà nel vestirsi come in questo periodo storico, neanche durante i movimenti hippy.

C’è talmente tanta offerta  di stili diversissimi tra loro con tantissime possibilità di scelta tra mille fasce di prezzo. Non bisogna aver paura di azzardare, senza però diventare ridicole e volgari.

Ecco come dobbiamo vestirci: come vogliamo!

Chiara

A.A.A. CERCASI AUTOSTIMA

Molte di voi avranno già visto questo video, le campagne pubblicitarie della Dove spesso non mostrano i propri prodotti, puntano sui contenuti, sulla figura femminile o come in questo caso sulla percezione che hanno le donne di se stesse. In questo video hanno messo in chiaro ogni dubbio. Non importa quanto siamo magre o belle, troveremo sempre in noi mille difetti che metteranno a dura prova la nostra sicurezza. Perché noi siamo specializzate nel vedere il peggio di noi stesse in ogni situazione. Ogni mattina ci guardiamo allo specchio e in quei pochi minuti in cui ci laviamo i denti o ci mettiamo la crema contiamo i nostri difetti, li studiamo nei minimi particolari, come fossero i cattivi da combattere. Purtroppo però le uniche sconfitte rimaniamo noi perché più ci convinciamo di essere “difettose” più diventiamo tristi.
Ma vi siete mai chieste cosa vedono in voi i vostri ragazzi o le vostre amiche quando vi dicono “sei bella”?!?
Sono tutti dei bugiardi?! Ci vedono con occhi diversi, sbagliati?!?
Io mi sono fatta le stesse domande oggi e sono arrivata alla conclusione che forse sono io quella che non è davvero oggettiva. Forse siamo noi che tendiamo ad essere pessimiste e critiche, soprattutto su noi stesse. Certo, può essere considerata come una dote che ci permette di migliorarci e di essere consapevoli di ciò che siamo, ma non è vero perché andremo sempre oltre.
Smettiamola di prenderci in giro, siamo solo autolesioniste e tristi. Proviamo a sorridere per una volta, proviamo a metterci un vestito e non vedere per forza quel rotolino di troppo. Proviamo a metterci il correttore e non sbuffare al naso troppo grosso. La bellezza non dipende solo dalla taglia ma dalla sicurezza che abbiamo in noi stesse. Impariamo ad essere meno dure con il nostro corpo, vivremo più felici se ci accettiamo per quello che siamo…NOI SIAMO BELLE, MOLTO Più DI QUEL CHE CREDIAMO!!!

Elisabetta

B2B